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1° maggio 2020

IL BLOG – 01/05/2020
Per le donne dove non c’è libertà non c’è scelta

Andrea Catizone, avvocato e giurista

Era il 14 luglio del 1948 quando la giovane deputata comunista Teresa Noce depositò una delle prime proposte di legge del neo-costituito Parlamento della Repubblica Italiana per tutelare la maternità delle donne lavoratrici. In questa proposta si introducevano il divieto di licenziamento della donna  in gravidanza e puerpera e il divieto di adibirla a lavori usuranti che mettessero a repentaglio la sua vita e quella del figlio. Un’iniziativa sostenuta dalla collega democristiana Maria Federici, con la quale iniziò un proficuo sodalizio nel condurre comuni battaglie per il riconoscimento dei diritti delle donne lavoratrici - come la legge del 26 agosto 1950 n. 860,  che introduce il principio di  uguale retribuzione a parità di mansione tra uomo e donna-. Erano già state le ventuno madri costituenti a condizionare la Carta Costituzionale del 1948 introducendo prescrizioni a tutela dei diritti fondamentali delle donne nella vita privata e nella vita pubblica  con  l’art. 37. È doveroso ricordarlo nella sua interezza: “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre a al bambino una speciale adeguata protezione”.  Un articolo che racchiude in sé il cuore della più grande delle irrisolte questioni in merito  alla funzione essenziale della maternità e del suo rapporto con il diritto al lavoro e al “pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3 Costituzione).
Se in questi giorni la Presidente della Corte Costituzionale Prof.ssa Marta Cartabia, ci ricorda che la Costituzione è una bussola che guida ed orienta ogni fase dello svolgimento della vita democratica del nostro Paese, non si può non portare nell’attualità, in questo tempo imprevisto segnato dalla prepotenza del Covid-19,  il senso di quelle parole contenute nella Carta fondamentale, patrimonio delle donne e degli uomini di questo straordinario, ma anche bizzarro, Paese che è l’Italia.  In fase di pandemia e dell’adagio del “tutti a casa” per salvare sé stessi e l’umanità intera, il diritto al lavoro, prima ancora di altri diritti ad esso funzionali, ne esce fortemente condizionato e trasformato. Abbiamo dovuto in questi giorni ripensare completamente al modo di esercitare le nostre attività lavorative, nei modi e negli spazi attraverso il quale lo stesso si sviluppa con effetti non sempre rispondenti agli standard di efficienza cui eravamo avvezzi. Si è soprattutto capovolta la suddivisione tra sfera pubblica e sfera privata con una sovrapposizione e talvolta confusione tra le due, generando degli sconfinamenti incontrollabili e, nella maggior parte dei casi, tutti a scapito del genere femminile che invece ha sempre dovuto affermare un chiaro ed evidente equilibrio tra le due sfere.
È lì che, le costituenti prima e le legislatrici dopo, hanno concentrato l’attenzione maggiore, perché è lì che si devono prevedere specifici interventi normativi che consentano alla donna di poter scegliere se essere madre e lavoratrice senza porla davanti ad una crudele alternativa. La legge 8 marzo n. 53 del 2000, voluta dall’allora Ministra Livia Turco, introduceva per la prima volta il tema dei congedi parentali dentro un contesto di ripensamento dei tempi della città, del lavoro e della vita. In tal senso significativa fu la mobilitazione di qualche anno prima delle donne del Partito Comunista Italiano per presentare una proposta di legge di iniziativa popolare, che poi raccolse oltre trecentomila firme, che si intitolava: “Le donne cambiano i tempi: una legge per rendere più umani i tempi del lavoro, gli orari della città, il ritmo della vita”. Fu proprio un’illuminata sindaca della città di Modena, Alfonsina Rinaldi, a sperimentare per la prima volta in Italia la riorganizzazione dei tempi delle città con un piano regolatore apposito. È su questo terreno che si deve giocare la partita della piena realizzazione del principio delle pari opportunità, che non può portare  ad avere nel nostro Paese un tasso di natalità sotto zero per l’assenza di politiche e servizi all’infanzia che permettano ad ambedue i genitori di poter costruire un giusto equilibrio tra le due sfere della vita.
La donna deve essere messa nella condizione di poter scegliere e non di dover essere obbligata a scegliere: dove non c’è libertà non c’è scelta. La pandemia da Covid-19 ci ha quindi crudelmente offerto questa nuova opportunità di ripensare ai tempi del lavoro e della vita: se non raccogliamo oggi questo suggerimento che la drammatica situazione ci ha proposto, temo che si perda un’ennesima occasione non per fare nuove leggi, ma per applicare quelle già esistenti nella creazione di un mondo per donne e uomini quale oggi, purtroppo, non è.